Votazioni 1° concorso letterario.
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Votazioni 1° concorso letterario.

Fino al 21/09/13

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    Giovine scrittore della notte [Dany&Ler]

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    Sud Italia

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    Eccoci giunti al momento fatidico di questo primo concorso letterario!
    Siete pronti per leggere le varie storie e votare la vostra preferita?

    Prima di postare i lavori ricordo le modalità di voto:

    1) Ogni partecipante deve necessariamente votare il racconto di un altro utente.

    2) Tutti i voti vanno confermati con un post che motivi la scelta in modo abbastanza esaustivo, senza limitarsi a un “mi piace” o “non mi piace”. Valutando secondo i cinque aspetti espressi in seguito.

    Non verranno contati i voti non confermati e giustificati

    Punteggi

    Voto della giuria: 25% (il punteggio andrà da 0 a 25)
    Voto degli utenti: 75% (il punteggio andrà da 0 a 75)

    Il voto della giuria è la media dei voti su cinque aspetti

    - Originalità (0/5)
    - Stile (0/5)
    - Coerenza con il tema indicato (0/5)
    - Presenza/assenza di errori (0/5)
    - Giudizio personale (0/5)

    Il voto degli utenti è la media dei voti su cinque aspetti

    - Originalità (0/15)
    - Stile (0/15)
    - Coerenza con il tema indicato (0/15)
    - Presenza/assenza di errori (0/15)
    - Giudizio personale (0/15)

    I voti saranno poi sommati e andranno da un minimo di 0 a un massimo di 100

    Ricordo inoltre i premi:

    - Targhetta personalizzata con citazione della storia che attesta la vittoria del contest
    - Set avatar + Firma
    - Set Icons con tema a scelta


    Il Primo classificato: 3 premi
    Il Secondo classificato: 2 premi a scelta
    Il Terzo classificato: 1 premio a scelta


    Ecco l'incipit della storia dal quale i nostri utenti dovevano partire:

    ”La musica pompa al ritmo del mio cuore. Sento i bassi pulsarmi nel petto, all’altezza dello sterno: tu-tump, tu-tump. Difficile vedere qualcosa nel locale pieno di corpi che si dimenano, tra la nebbia di ghiaccio secco e gli effetti di luce che sciabolano altissimi dal soffitto tecnologico.
    Però so che c’è. Lo sento.
    Infatti sono grata alla massa di corpi schiacciati che mi avvolge. Mi nascondono dalla sua vista e ai suoi sensi. A quest’ora, altrimenti, avrebbe già percepito il mio odore. Riescono a cogliere l’essenza della paura a distanza di metri, loro..”



    Ed ecco qui di seguito i vari lavori, in ordine di consegna. Che vinca il migliore!

    The Aster presenta il racconto "Ypolius":

    La musica pompa al ritmo del mio cuore. Sento i bassi pulsarmi nel petto, all’altezza dello sterno: tu-tump, tu-tump. Difficile vedere qualcosa nel locale pieno di corpi che si dimenano, tra la nebbia di ghiaccio secco e gli effetti di luce che sciabolano altissimi dal soffitto tecnologico.
    Però so che c’è. Lo sento.
    Infatti sono grata alla massa di corpi schiacciati che mi avvolge. Mi nascondono dalla sua vista e ai suoi sensi. A quest’ora, altrimenti, avrebbe già percepito il mio odore. Riescono a cogliere l’essenza della paura a distanza di metri, loro...


    La lettura di Ronnie fu interrotta dal pesante sobbalzo subito dalla ruota del camper a causa di una buca. Erano in viaggio ormai da più di tre ore, lui, Duke, Dan e i due Thomas, e l'arrivo sembrava un’utopia irrealizzabile.
    Come se non bastasse, il tempo aveva deciso di scatenarsi proprio quel giorno, dopo quasi una settimana di caldo cocente. Le gocce di pioggia cadevano senza sosta, evocando dal nulla quel canto artificioso nato dal contatto dell'acqua con l'asfalto e il lunotto del camper.
    Fortuna che una sua fan, oltre alla solita lettera in cui gli dichiarava amore eterno, gli aveva regalato quel libro, Danze dall'Inferno, una serie di racconti riguardanti cinque adolescenti alle prese con l'ormai fin troppo stereotipato Ballo di Fine Anno.
    Anche se era arrivato all'ultima storia e mancava poco per finire la raccolta, Ronnie decise di smettere di leggere e posò il libro sopra un mobiletto lì vicino.
    Si portò una mano al petto, ma non al cuore. Il suo arto andò ad appoggiarsi alla lettera che custodiva nella tasca segreta della sua felpa. Aveva deciso di farsela anche a costo di rovinare quel capo d'abbigliamento, regalo di un suo caro amico; perché lo sapeva, sapeva che anche lui avrebbe consentito a farlo, quella lettera era troppo importante, non solo per Ronnie, ma anche per il resto della band.
    Vedendo lo sguardo ansioso dell'amico, Duke si avvicinò per parlargli, perché, in fondo, anche per lui era pesante sopportare quell'attesa.
    «Tutto bene Ron?»
    «Starei meglio se fossimo già arrivati.»
    Duke annuì e si sedette su un sedile accanto all'amico.
    «Non sei l'unico a pensarla così.»
    Seguendo il cenno fattogli dall'amico, Ronnie si voltò verso sinistra, dove si trovavano gli altri membri della band: Thomas il bassista e Dan stavano seduti uno di fronte all'altro, intenti a giocare a carte; tuttavia, ogni due secondi guardavano nervosi fuori dai finestrini, così da capire se fossero arrivati o no a destinazione.
    «E dove l'altro Thomas?» Domandò Ronnie non vedendolo in giro.
    «Mi ha detto che avrebbe dormito un po' per scaricare la tensione.»
    «Teso?» Il tono di Ronnie era di pura incredulità. «Lui?»
    Duke annuì divertito. «Eh già.»
    Entrambi scoppiarono a ridere, travolgendo poi involontariamente i due giocatori.
    «Cosa c'é di così divertente?» Chiese Thomas il bassista.
    «Oh, nulla di che.» Asserì Ronnie. «È solo che il tuo omonimo é alquanto agitato.»
    Sul volto di Dave si fece largo un sorriso bonario. «E chi non lo é? Questo sarà il concerto più importante della nostra carriera. Ma che dico, della nostra vita.»
    Tutti furono d'accordo con la sua affermazione, quello che stavano per fare avrebbe cambiato per sempre la loro esistenza.
    «Ragazzi, posso dirvi una cosa?» Disse Thomas il chitarrista spuntando dal nulla.
    «Ehilà Tom, dormito bene?»
    «Per niente, questo tempo non é l'ideale per dormire. Mettici anche le vostre urla del cazzo e le buche che il nostro autista sembra divertirsi a prendere in pieno, invece di evitarle.»
    «Vorrei vedere te al posto suo, svegliato nel cuore della notte per mettersi alla guida di questo gigante senza neanche buttar giù qualcosa da mangiare.»
    Thomas il chitarrista aprì uno stipite e prese un paio di brioche, poi andò a portarne una all'autista e tornò rapido dai suoi amici, subendo i loro risolini di scherno.
    Duke riprese il discorso. «Allora Tommy, cos'hai da dirci?»
    «Riguarda il concerto.»
    «Si?»
    «Siete sicuri di essere pronti? Cioè, e se sbagliassimo qualcosa durante l'esecuzione? E se viene a mancarci la corrente o altre puttanate del genere?»
    Dan scoppiò a ridere di gusto. «Ma dai, come cazzo fanno a venirti in mente certi pensieri?»
    Thomas il chitarrista guardò i suoi amici uno per uno, respirò a fondo e poi parlò.
    «Non voglio... cazzo, non voglio proprio che questo concerto sia un fallimento, non questo!»
    Gli altri non ebbero nulla da ribattere, perché nulla, proprio nulla doveva andare storto.
    «Sta tranquillo.» Disse l'altro Thomas con voce seria. «Siamo tutti pronti, ce la faremo.»
    Ronnie tirò fuori dalla tasca segreta la lettera, la prese fra le mani delicatamente, trattandola come se fosse fatta di cristallo.
    «Ehi ragazzi.»
    «Cosa c'é Ron?»
    Ronnie mise la lettera in bella mostra. «Vi va di leggerla un'altra volta?»

    La voce gracchiante dell'autista fu scandita dagli altoparlanti interni del camper.
    «Siamo arrivati.»
    Dopo che il mezzo fu fermato in un parcheggio riservato solitamente alle ambulanze, i cinque musicisti uscirono, uno per volta, come soldati in riga sul campo di battaglia.
    Ma quello che stavano per fare non era una guerra, non avrebbero commesso atti contro natura; anche se, sotto certi aspetti, il loro comportamento sarebbe stato contro la legge.
    Ronnie respirò a fondo l'aria intrisa di umidità, la pioggia aveva smesso di cadere. Un segno, pensarono tutti quanti, che il loro gesto avesse commosso qualcuno nei piani alti, tanto da farlo decidere di chiudere per qualche ora i rubinetti.
    Il cellulare di Thomas il bassista tuonò impetuoso.
    «Cazzo Tom, avevamo deciso di spegnerli!» Disse Dan.
    «Scusate ragazzi, l'avevo acceso per giocarci un po' e ho scordato di chiuderlo.»
    «Adesso spegnilo e aiutaci a sistemare gli strumenti.»
    «Ma Ron, é il nostro manager.»
    «Ci mancava solo lui, perché credi abbiamo deciso di spegnerli quei cazzo di telefoni?»
    «Adesso basta Tom, ci parlo io col manager.» Decise Duke. «Tu intanto va dentro e scopri qual é la sua stanza.»
    «Vado.»
    Duke non ebbe il tempo di avvicinarsi il telefono all'orecchio che la voce urlante del loro manager gli fece pentire di non aver rifiutato la chiamata.
    «Si può sapere dove cazzo siete finiti?!»
    «Ciao Bill.»
    «Ciao Bill un cazzo! Vi rendete conto di che ore sono? Che cazzo vi é preso? Dove accidenti siete?»
    «Tranquillo, siamo solo usciti a fare una passeggiata.»
    «Non prendermi per il culo Duke, stavolta non la passate liscia. Se tu e gli altri stronzi non tornat-»
    «Scusa Bill, non ti sento bene. Ci deve essere qualche interferenza.»
    Duke si mise a fare dei versi.
    «Non provare a chiudere figlio di pu-»
    La chiamata fu chiusa, stessa sorte toccò al cellulare.
    «Mi é sembrato piuttosto arrabbiato.»
    «Dici, Ron?»
    Dan finì il suo lavoro. «Ragazzi, ho collegato gli strumenti al generatore.»
    «Bene, e se quello laggiù che corre é il nostro Tom, siamo a buon punto.»
    Thomas il chitarrista dovette fermarsi qualche secondo a riprendere fiato, correre non era più il suo forte da molto tempo.
    «Allora, sei riuscito a scoprire la stanza?» Domandò Ronnie.
    «Ci é andata di culo ragazzi, perché l'infermiera-»
    «È una nostra fan?» Azzardò Duke.
    «No, ma lo é il medico di turno. Infatti, al contrario dell'infermiera, lui mi ha riconosciuto subito e mi ha detto in quale camera si trova lui.»
    «E qual é?»
    Thomas il chitarrista indicò una finestra posta al terzo piano.
    «Quindi si trova in alto.»
    «Già, il medico mi ha detto che non può muoversi da lì a causa dei macchinari a cui é collegato. Ma dopo che gli ho raccontato quello che volevamo fare, il dottore mi ha garantito che avrebbe fatto in modo di avvicinarlo il più possibile alla finestra, così almeno, oltre a sentirci, potrà anche guardarci.»
    Ronnie poggiò la mano sulla spalla dell'amico. «Ben fatto.»
    Come promesso dal dottore, la finestra del terzo piano fu aperta, e una persona dal volto pallido sbucò lentamente da essa, abbassando lo sguardo verso il basso e versando miste lacrime d’incredulità e felicità appena messi gli occhi sulle cinque figure sottostanti.
    «Ragazzi, siete pronti?»
    Prima che quella domanda fosse posta, gli altri quattro si erano già messi nelle postazioni: i due Thomas rispettivamente alla chitarra e al basso, Dan alla batteria e Duke alla tastiera.
    Mancava solo la Voce.
    «Quando vuoi Ron.»

    Cari RJA,

    questa é la prima volta che vi scrivo una lettera, anzi, per la verità é l'unica lettera che abbia mai scritto in vita mia.
    Voi, di certo, non mi conoscete; d'altronde, come potreste farlo? In confronto a chi vi segue veramente, io non sono altro che un minuscolo granello di sabbia, la riserva delle riserve delle riserve.
    Tuttavia, é un immenso orgoglio per me potervi dire il mio nome, Julius, e, soprattutto, la cosa per me più importante: sono un vostro grande fan.


    Dan alzò in alto le braccia, facendo battere le bacchette fra loro e dando così l'attacco.
    «One, two... ONE, TWO, THREE, FOUR!»

    Non so se sarete voi a leggere le mie parole o lo farà qualcun altro in vostra vece, perciò prego chiunque legga questa lettera di riferire il suo contenuto.
    Sin da piccolo, la mia vita é stata un via vai tra casa e ospedali, non sono mai andato a scuola, non ho mai avuto dei veri amici.
    La mia malattia mi ha portato via molte cose, e a poco a poco la stessa sorte capiterà all'unica cosa che ancora posso definire mia.
    Ma non m’importa, ormai mi sono rassegnato da molto tempo.


    Il colpo dato al tamburo fu immediatamente seguito dal ritmo degli strumenti suonati da Duke e dai due Thomas.

    Ricordo ancora la prima volta che vi ascoltai suonare: in TV stavano trasmettendo il film Never Back Down, di cui voi avete partecipato alla colonna sonora, utilizzando quella che sarebbe poi diventata la mia canzone preferita, cioè False Pretense.

    Ronnie, senza più agitazione nel cuore, respirò a fondo, contrasse il diaframma e iniziò a intonare la prima frase.
    «IT'S TIME TO LET IT GO!»

    Il ritmo, le parole, la vostra passione nel cantare, le vostre canzoni... tutto questo, ha fatto rinascere dentro di me la voglia di vivere che credevo di aver perso da tempo.

    I quattro ragazzi continuarono senza sosta la loro esecuzione sugli strumenti, abbassando di poco il ritmo quando la loro Voce dove cantare.
    «The world's got a funny way of turning 'round on you
    When a friend tries to stab you right in the face»

    Non fraintendetemi, vi prego. Non vi sto scrivendo per suscitare la vostra pietà o commozione nei miei confronti, non é stato questo a spingermi a farlo.

    «Losing faith in everything I thought I hoped I knew
    Don't sweat it, set on false pretense»

    Non so se sarò ancora in questo mondo quando leggerete queste parole, ma non importa, io ve le devo dire lo stesso.

    «Betrayed but not gonna be willing to change
    And it doesn't seem likely to fade»

    Per avervi conosciuto...

    «Betrayed but not gonna be willing to change»

    Per avermi fatto provare ancora emozioni grazie alla vostra musica...

    «Cu-cu-cu-cuz you know...»

    Per avermi fatto diventare un vostro fan...

    «It's sacrifice»

    Grazie...

    «False pretense you'll hurt again»

    Grazie...

    «Stop pretending to deny
    False pretense you'll hurt again»

    Grazie.

    I cinque ragazzi continuarono così per altre due ore, elargendo al loro fan le più belle canzoni del loro repertorio. Non smisero nemmeno all'arrivo della polizia, chiamata da chissà chi disturbato a quell'ora tarda della notte.
    Perché i veri musicisti lo sanno, sanno che non sono loro i veri protagonisti, le persone che devono ricevere gli applausi.
    Sono i fan i personaggi principali, i pilastri della loro essenza, la forza che li spinge a continuare nel loro cammino fatto di note e scale musicali.
    Perché senza di loro, senza il battito delle loro mani, senza le urla di sostegno, senza la loro passione incontrollata, i musicisti non sono nulla.

    Video



    Fantasy Dreamer presenta il racconto "Non capiscono":


    La musica pompa al ritmo del mio cuore. Sento i bassi pulsarmi nel petto, all’altezza dello sterno: tu-tump, tu-tump. Difficile vedere qualcosa nel locale pieno di corpi che si dimenano, tra la nebbia di ghiaccio secco e gli effetti di luce che sciabolano altissimi dal soffitto tecnologico.
    Però so che c’è. Lo sento. Infatti sono grato alla massa di corpi schiacciati che mi avvolge. Mi nascondono dalla sua vista e ai suoi sensi. A quest’ora, altrimenti, avrebbe già percepito il mio odore. Riescono a cogliere l’essenza della paura a distanza di metri, loro.
    Non capisce, non capirà mai, penso facendomi largo nella calca. Riesco a fatica a crearmi un varco attraverso la moltitudine danzante che affolla la discoteca.
    Sento sul mio collo il suo respiro, come il fiato di una bestia da riporto, di un mastino affamato di carne fresca.
    E’ un mostro, non può capire. Mi insegue, convinto che io sia un assassino, un folle dalle mani lorde di sangue. Ma io non l’ho uccisa. Mi guardo le dita. Effettivamente sono insanguinate. Ma sono insanguinate perché io ho cercato di aiutarla.
    Vado avanti, nascondendomi come un sordido ratto dietro le spalle di individui che neanche mi notano.
    Per un istante credo di essergli scappato. Poi avverto di nuovo sulla mia nuca il suo sguardo. Mi insegue ancora. Non capisce niente, esattamente come gli altri suoi simili. Sono tutti testardi come muli, quei figli di puttana.
    La sfera argentata sul soffitto riflette le luci colorate, proiettandole sulle pareti e sul pavimento. Nulla è immobile, in quel caos: tutto vibra, tutto rimbomba, tutto si agita. Ma io non me ne curo. Vado avanti, l’istinto di sopravvivenza che mi guida verso la giusta direzione.
    Le porte della discoteca sono piccole e sono bloccate da due giganteschi buttafuori in camicia e cravatta.
    - De… devo andare – balbetto, nascondendo le mani insanguinate dietro la schiena per paura che anche loro fraintendano.
    - Prego - mi rispondono scostandosi.
    Mi fermo un attimo per guardarmi alle spalle. Non riesco a vedere il mio inseguitore, forse si sarà nascosto nella calca per non farsi vedere. Ma io non sono così stupido, so che non mi lascerà andare. Li conosco bene, quelli come lui: nel loro gelido cuore non c’è spazio per la comprensione o il ragionamento, perché pensano sempre e solo a fare ciò che ritengono giusto.
    Ripenso a quella splendida ragazza. I suoi capelli neri che mi accarezzano il volto, i suoi occhi scuri che fissano il mio corpo. Io l’ho amata. L’ho fatta mia, l’ho posseduta con tutto l’ardore che sono riuscito a trovare. Le sue labbra sulla mia pelle, le sue gambe avvolte attorno alla mia vita… Non capiscono! Perché non capiscono?
    Devo mantenere il controllo. Ma come si può mantenere il controllo quando tutto il mondo ti si stringe addosso? La paura mi attanaglia il petto, ghiacciandomi le vene e impedendomi di ragionare. Vogliono prendermi solo perché ho amato una donna!
    Non so cosa fare. Mi sforzo di pensare, ma non ci riesco: la mente mi si affolla di idee confuse e prive di senso. Una sola cosa è ovvia: non posso andare a casa mia, altrimenti mi seguiranno e scopriranno dove abito. Devo prendere l’auto e seminarli.
    Esco dal locale.
    Che sia solo un sogno? Che tutto questo sia una fantasia prodotta dal mio inconscio? Non può essere. I mostri come quello che mi sta dando la caccia non esistono nemmeno negli incubi peggiori.
    Il mio sguardo si posa per un istante sull’insegna della discoteca. Si tratta di un cartello a forma di nuvola, al centro del quale lampeggia in giallo la scritta “Heaven Disco”. “Discoteca Paradiso”. Ma questo non è il paradiso: in questo momento mi sembra di sprofondare in un baratro infernale.
    Le lampadine che incorniciano il nome del locale sono in gran parte fulminate. Un rinsecchito gatto tigrato si sta facendo le unghie sulle ruote di una jeep parcheggiata lì vicino.
    Mi ritrovo nel parcheggio. Gente sbronza passeggia sottobraccio, fermandosi ad ogni angolo per vomitare.
    Proseguo.
    Mi dirigo verso il mio pick-up, parcheggiato presso il grande supermercato che si erge vicino al night club. Anche qui un’insegna lampeggia, ma lo fa senza un ritmo preciso, perché i cavi delle lampadine si stanno deteriorando e nessuno ha i soldi per cambiarli.
    Un barbone mi si avvicina chiedendomi qualche spicciolo, ma io lo allontano. Non ho tempo per questo, adesso.
    E’ notte. Le luci delle auto che sfrecciano sull’autostrada alla mia sinistra mi abbagliano. Sto delirando, tutto è luminoso e al tempo stesso buio, tutto è calmo e al tempo stesso agitato.
    Raggiungo il mio veicolo, frugo nella tasca della camicia-jeans in cerca delle chiavi. Le afferro e le infilo nella serratura. La paura è così forte che neanche mi rendo conto di stare tremando.
    Apro lo sportello, senza dimenticare di guardarmi attorno in cerca del mio inseguitore. Nessuna traccia della sua presenza. Che mi abbia perso di vista? Impossibile, quando loro individuano una preda non la lasciano fuggire così facilmente.
    Salgo a bordo, metto in moto. Parto in retromarcia, faccio manovra, mi dirigo verso l’uscita del parcheggio.
    Imbocco l’autostrada, mi dirigo in direzione opposta al centro della città. Alle mie spalle, Las Vegas brilla come una stella. Le luci dei casinò e degli alberghi la rendono simile a una fiamma accesa nel bel mezzo del Nevada. Perfino a quella distanza, ai limiti della periferia più degradata, riesco a riconoscere la guglia della Torre Eiffel e la piramide del Luxor Hotel. Tutti sanno che, sotto le apparenze, Las Vegas è una città governata dalla mafia, ma io la amo ugualmente. Sono nato qui, in questa perla del deserto, e qui morirò.
    Accelero. Sono vicino ai cento chilometri orari. Sorpasso un’auto dai parafanghi posteriori piegati e la vernice scrostata. Dietro di me non c’è nessuno. Comincio a chiedermi se ce l’ho davvero fatta. Non devo gridare vittoria troppo presto, penso: è ancora possibile che il bastardo sbuchi fuori all’improvviso. Sono sicuro che è ancora desideroso di prendermi.
    Vado dritto, senza imboccare le uscite che conducono nei diversi quartieri periferici. La notte mi sembra più buia che mai: i lampioni illuminano a stento tutte le corsie e, per di più, alcuni sono fulminati. Sul bordo dell’autostrada, in abiti succinti e trucco pesante, alcune prostitute ostentano la loro merce.
    Un clacson suona forte al mio fianco. Il cuore in gola, mi volto. Si tratta solo di una normale Audi che vuole superarmi. La ignoro, premendo più forte il piede sull’acceleratore. Non posso rallentare per farla sorpassare: devo andare più veloce, o il bastardo mi raggiungerà.
    - Che cazzo fai? - mi urla il guidatore dell’Audi attraverso il finestrino. Non rispondo. Vuole superarmi, deve passare ad ogni costo. Perché certa gente è sempre di fretta? Se sapesse da cosa sto scappando io, sicuramente non si lascerebbe sorpassare da nessuno.
    Premo l’acceleratore. Centodieci chilometri all’ora. Centoundici. Centododici… La lancetta del tachimetro sale lentamente. Come vorrei che il motore fosse più rapido, ma il mio pick-up è vecchio, e più di così non ce la fa.
    Con uno sprint eccezionale, l’Audi finalmente mi supera. La vedo allontanarsi davanti a me, la carrozzeria nera che scompare all’orizzonte.
    Proseguo. Non ho una meta, sto semplicemente scappando. Non so quando mi fermerò, non so quando scenderò per vedere se ancora mi inseguono. Per ora accelero. Centoventi, centoventuno, centoventidue...
    Il tempo passa. Leggo l’ora sul cruscotto. E’ mezzanotte e un quarto.
    Scruto nello specchietto retrovisore. Non c’è nessuno, dietro di me. Davanti a me si stende l’autostrada, simile a un contorto serpente di asfalto. Sto uscendo da Las Vegas, sono scomparse le case della periferia, abitate da clandestini e criminali.
    Fa freddo. Sento il gelo raggiungere le ossa. Lo ignoro.
    Come vorrei fermarmi… Non mollo. Un altro po’, mi dico. Devo essere sicuro che il bastardo sia andato.
    Sono nel deserto. Lo sguardo spazia lontano, il suolo è piatto e brullo, coperto da sassi bruciati dal sole. I cactus sembrano uomini rinsecchiti che stendono le braccia al cielo.
    I secondi e i minuti si susseguono in un ciclo inarrestabile. Mi ritrovo immerso in pensieri confusi, in un mare gorgogliante di brevi ricordi simili a lampi nel cervello. Guido distrattamente, senza far caso alle curve della strada. Quasi mi dimentico cosa sto facendo…
    Guardo l’ora. E’ l’una. Nemmeno mi sono reso conto di aver guidato per tre quarti d’ora.
    Sono calmo, ormai credo proprio di avercela fatta. L’ho seminato! Quel bastardo mi ha perso! Una gioia bruciante mi avvolge il petto. Ora posso tornare a casa. Sono così stanco…
    Torno a pensare a quella meravigliosa ragazza dalla pelle olivastra. Era così bella, sembrava un angelo. Era pura, estranea al peccato, e poteva essere mia… Le ho mostrato la libertà. E loro non capiscono! Non l’ho uccisa, ho tentato di salvarla! Poi, però, è arrivato quel bastardo e sono dovuto scappare via.
    Rallento, premendo sul freno e riducendo la velocità a poco a poco. Accosto, intenzionato a fare manovra. Mi giro per tornare indietro. Credo che, giunto ai margini della città, imboccherò una via secondaria. Ci vorrà più tempo di quello che impiegherei guidando lungo l’autostrada, ma ho paura che loro mi stiano tendendo un’imboscata davanti alla discoteca.
    Ce l’ho fatta, ora ne sono certo. Ma in bocca sento un gusto amaro, come quello della sconfitta. Da un lato ho vinto, perché li ho seminati, ma dall’altro so di aver perso, perché non sono riuscito a salvare quella ragazza. E’ stata colpa di quei bastardi se non ce l’ho fatta. Possibile che non capiscano? Io volevo solo salvarla!
    Cosa sono quelle luci all’orizzonte? Probabilmente delle auto che stanno uscendo da Las Vegas. Non devo preoccuparmi.
    Mi dirigo verso la città a velocità normale. Avanzo con tranquillità, sicuro di me. Ce l’ho fatta.
    Le luci di quelle auto lampeggiano. Non è un solo veicolo, sono molti. Una decina. Non è possibile.
    La gioia provata fino a un minuto fa si congela in un soffocato grido di orrore, che mi scaturisce dalla gola come un sibilo di morte. Il bastardo ha chiamato rinforzi, ora mi inseguono in molti! Quattro auto, in tutto. Non è possibile! Come ha fatto? Non c’era nessuno, dietro di me, prima! Ero solo, solo nel deserto! Sono più furbi di quanto pensassi. Mi hanno trovato ancora una volta, dopo essersi nascosti per tutto quel tempo. Devo scappare di nuovo.
    Giro il volante di centottanta gradi, le ruote del pick-up stridono sull’asfalto per l’improvvisa sterzata. Ho paura di sbandare e di finire fuori strada. Ma miracolosamente riesco a girarmi in direzione opposta. Accelero, l’adrenalina che mi scorre nelle vene come fuoco liquido. Due parole si ripetono all’infinito nella mia mente: non capiscono, non capiscono, non capiscono, non capiscono… Quei bastardi non riescono a capire!
    Vado veloce, sempre più veloce. - Dai, dai, dai… - bisbiglio digrignando i denti. Sento il loro fiato sul collo, mi sento una lepre inseguita da un branco di levrieri. Sento i loro clacson dietro di me, ma non guardo nello specchietto. Se lo facessi, sono sicuro che sverrei per il terrore. Devo farcela, devo farcela…
    - Accosti immediatamente! - grida una voce amplificata da un megafono.
    Non rispondo. Se mi fermassi, mi riempirebbero di proiettili senza lasciarmi parlare.
    - Accosti! - ripete la stridula voce.
    Le luci blu di quei veicoli lampeggiano sempre più vicine, come fiamme dell’inferno che vogliono catturarmi. Le sirene suonano fortissime, simili a grida lamentose. Mi stanno raggiungendo!
    Sono arrivato a centocinquanta chilometri all’ora, ma non basta.
    Non posso lasciarmi prendere dal panico, devo scappare. Il mio istinto di sopravvivenza è più forte della paura. Devo farcela!
    Accelero ancora di più, ma il pick-up è al limite. Una lacrima cerca di scorrermi giù per la guancia, ma io la ricaccio indietro. Non devo mostrarmi debole: i miei avversari non aspettano altro.
    Un’ondata di terrore mi ghiaccia il cuore quando vedo, alla destra del mio veicolo, un’auto bianca e nera dai fianchi graffiati. Mi hanno raggiunto. - Accosti subito, o saremo costretti ad utilizzare le armi da fuoco! - gridano.
    Abbasso la testa tra le ginocchia mentre il parabrezza viene attraversato dai proiettili delle loro pistole. Premo l’acceleratore. La strada sfreccia sotto il mio pick-up rapida come una saetta, mentre nella mia mente si fa strada un’idea ben precisa. Non mi lascerò catturare. Il mio viaggio potrà concludersi in due modi: vittoria, oppure morte.
    So cosa fare. Proverò un’azione inaspettata, qualcosa che li coglierà di sorpresa. La lancetta del tachimetro segna i centosettanta chilometri orari. Velocità massima. Respiro profondamente. Chiudo gli occhi. Ogni suono, ogni pensiero e ogni paura scorre via dal mio animo…
    Giro il volante verso destra, le ruote che sterzano stridendo sull’asfalto. L’urto della fiancata destra che sbatte contro il muso della volante nemica mi fa sbattere contro la portiera. Sento un bruciante dolore alla cassa toracica: forse mi sono fratturato alcune costole. Mi proteggo il capo con le mani. Le schegge dei finestrini infranti mi colpiscono la pelle dell’avambraccio, conficcandosi in profondità.
    Non vedo nulla, perché sto affondando il volto tra le cosce. Il veicolo si inclina, tutto avviene rapidamente. L’airbag si gonfia ma viene scoppiato dai bordi taglienti del parabrezza distrutto. La carrozzeria si piega come un foglio di carta.
    Il pick-up sta rotolando su se stesso ad una velocità spaventosa. La cintura di sicurezza mi tiene incollato al sedile, ma sento lo stomaco attorcigliarmisi nel ventre e mi vomito addosso. Tutto si ferma con un boato. La coscia sinistra esplode in una fiamma di dolore, quando un brandello di metallo aguzzo affonda nella carne.
    Silenzio. Solo silenzio. Non pensavo che la morte fosse così tranquilla. Alzo lentamente il capo, guardandomi attorno. Sono ancora vivo. La testa mi pulsa ininterrottamente, i miei vestiti sono macchiati di sangue, terra e vomito. Osservo la ferita alla gamba: non è molto profonda e, nonostante il dolore accecante, riesco ancora a muovere l’arto. Quello che mi preoccupa sono le costole: mi tasto il torace, avvertendo un’escrescenza rigida che preme sulla pelle. Quando la sfioro, lo sguardo mi si annebbia e tutto il mio corpo sembra strillare.
    Sono intrappolato nello scheletro del mio pick-up distrutto. Devo uscire e correre via, perché non so se loro mi stanno ancora cercando. Forse mi credono morto. Forse dovrei restare qui, in modo che se ne vadano. Ma la curiosità è troppa, e troppo forte è anche il desiderio di tornare a casa. Non so se ne ho ucciso qualcuno. Non volevo che accadesse, ma sono stato costretto. Loro non capivano…
    Mi isso con le braccia sopra al foro che ha preso il posto della portiera, strappata via e finita chissà dove. In piedi sopra al pick-up capovolto, ho una visuale di tutta l’area circostante.
    Nessuna volante avversaria è sopravvissuta all’incidente.
    Una giace nel fosso, il muso piegato verso l’interno e il tettuccio schiacciato; i passeggeri sono entrambi morti, macellati dalla carrozzeria tagliente.
    Un’altra auto è finita una decina di metri più in là, oltre il canale, rimbalzando al suolo più volte. Anche i bastardi che la guidavano sono tutti morti, suppongo.
    Il veicolo nelle peggiori condizioni è quello più vicino al mio. Si tratta di quello che ho colpito quando ho sterzato, e ora è ridotto a un cumulo di brandelli di ferro. I cadaveri non si vedono, ma non c’è movimento tra le macerie.
    L’ultima auto sembra quasi integra, tranne che per le ammaccature alla carrozzeria e i vetri distrutti. Il sangue torna a gelarmisi nelle vene quando vedo due di loro scivolare fuori dalla portiera piegata, poggiando le mani tremanti al suolo. Sono vivi e possono attaccarmi. Devo difendermi, in qualche modo…
    Salto giù dal pick-up, nascondendomi dentro al fosso, profondo un metro scarso. Accanto a me è riverso un cadavere, la pistola infilata nella fondina. La prendo.
    - E’ ancora vivo! Si è nascosto sul bordo della strada! - sussurra uno dei superstiti, la voce roca e interrotta da colpi di tosse. - Vieni fuori! - cerca di gridare, ma le parole escono fuori acute e ridicole.
    Sento il suono di una nove millimetri che viene ricaricata. Stanno per spararmi! Non posso permetterglielo: sono loro che hanno torto! IO NON L’HO UCCISA!
    Mi alzo di scatto, le mie mani si muovono da sole, senza che io debba sforzare la mia volontà. Premo il grilletto, mentre il rinculo della pistola mi fa barcollare. Lo premo di nuovo, poi getto l’arma a terra. Non mi accorgo del boato degli spari, nelle mie orecchie c’è solo un ronzio confuso che attutisce ogni altro rumore.
    Eccoli lì, accanto ai loro compagni. Quelli che poco prima erano corpi vivi, nelle cui vene scorreva sangue caldo e nella cui mente guizzavano pensieri, ora sono oggetti morti, involucri vuoti e in decomposizione. Com’è leggera la vita… E’ solo un’apparenza, solo un soffio sulle labbra, che può essere sottratto brutalmente con un minuscolo proiettile. Siamo così delicati, tutti noi, e ce ne rendiamo conto solo quando assistiamo alla morte di qualcun altro…
    Il suolo si macchia di sangue, sembra che un lago scarlatto stia sgorgando nel mezzo del deserto del Nevada. Li ho uccisi tutti, quei poliziotti bastardi.
    Il mio cervello pulsa più forte di prima, e mi accorgo solo ora di avere sonno, molto sonno. Me ne andrò a casa, mi farò una doccia, mi medicherò i graffi al braccio e andrò avanti. Non posso andare all’ospedale per farmi curare le costole: sono sicuro che mi stiano ancora cercando, probabilmente hanno trasmesso alla tv foto del mio volto. Mi riconoscerebbero immediatamente.
    Non so quale veicolo usare. Il mio è devastato, gli altri sono anche peggio. Rimane solo l’ultima auto della polizia, forse posso prenderla per tornare a casa, dopodiché me ne libererò. Percorrerò le periferie, dove nessuno si curerà di me: non è raro vedere auto nere e bianche rubate. Rido sommessamente, quando penso che forse mi scambieranno per uno di loro. Ora posso cantare vittoria, posso gridare e andare avanti.
    Salgo a bordo del veicolo. Le chiavi sono ancora nel cruscotto, quando le giro il motore scoppietta un po’ ma poi si accende. Dalla radio proviene una voce roca e metallica: è il notiziario.
    - Prestate attenzione, se state viaggiando attorno a Las Vegas…-
    Mi torna in mente l’immagine di quella splendida ragazza. Io l’ho amata, l’ho posseduta con passione e volevo salvarla, ma loro me l’hanno impedito, perché credevano volessi ucciderla. La polizia non capisce, non capisce mai.
    - … nei quartieri periferici della metropoli si aggira un pericoloso serial-killer, che ha stuprato tre ragazze all’interno dei bagni di discoteche e night club…-
    Non sono riuscito a salvarla, non sono riuscito a liberarla.
    - … per poi ucciderle a sangue freddo usando armi da taglio…-
    Ma la notte è appena iniziata: posso ritentare in un altro locale. Las Vegas ne è piena. Ne ho già salvate tre, sono esperto.
    - … e pugnalarle ripetutamente anche dopo la morte. Un poliziotto è riuscito a impedirgli di massacrare il corpo dell’ultima giovane donna. -
    Sì, me l’ha impedito. Per colpa sua non sono riuscito a finire il lavoro.
    Ma ho con me il mio coltello e la mia volontà è più forte che mai. Troverò un’altra ragazza, più bella e più giovane, la farò mia e la amerò con passione. Certo, all’inizio opporrà resistenza, ma non me ne curerò: tutte all’inizio si oppongono. Dovrò costringerla usando la forza, ma alla fine me ne sarà grata, lo so.
    - La polizia ne ha perso le tracce nel deserto…-
    E poi, quando vedrà la lama d’acciaio accarezzarle la pelle e poi affondare nella carne, mi implorerà. E io la accontenterò, donandole la clemenza e la morte: la salverò, liberandola da questa vita crudele e conducendola in un posto migliore. Il Paradiso. Loro non capiscono, credono che io le uccida quando invece le aiuto… ma devo andare avanti, devo salvarne altre.
    -… e teme che potrà colpire ancora.-
    Ne salverò molte altre.
    Molte.




    Paul97 presenta il racconto "La discesa agli inferi":
    La musica pompa al ritmo del mio cuore. Sento i bassi pulsarmi nel petto, all’altezza dello sterno: tu-tump, tu-tump. Difficile vedere qualcosa nel locale pieno di corpi che si dimenano, tra la nebbia di ghiaccio secco e gli effetti di luce che sciabolano altissimi dal soffitto tecnologico.
    Però so che c’è. Lo sento.
    Infatti sono grata alla massa di corpi schiacciati che mi avvolge. Mi nascondono dalla sua vista e ai suoi sensi. A quest’ora, altrimenti, avrebbe già percepito il mio odore. Riescono a cogliere l’essenza della paura a distanza di metri, loro..

    Come leopardi attendono silenziosi la loro preda, nascosti tra l'erba alta; solo al momento giusto saltano fuori e si avventano sulla gazzella, che con una scarica di adrenalina acquisita dalla certezza dell'immediata morte, tentano invano di scappare per poi cadere tra le fauci del predatore.
    Il loro unico scopo è quello di uccidere, e sono forse i migliori nel farlo; scovano la preda grazie ad un singolare fiuto e con movimenti silenziosi degni solo di esperti ladri, attaccano alle spalle.
    Noi li chiamiamo gli Spazzini.
    Non potevamo trovare nome più adatto. Infatti non molti possono resistere alle loro persecuzioni: conosco pochi che sono sopravvissuti ad un loro attacco. Io stessa ho scampato la morte, molte volte.
    Ne esistono centinaia, e ne sono esistiti altrettanti. Curioso come nei libri di storia e nei libri dei racconti per bambini siano dipinti come eroi... dopotutto, la storia la scrivono i vincitori.
    Tutti da bambini desideravano essere l'eroe di una di quelle storie, ma la verità è solo questa: i Semi-Dei sono degli assassini creati solo per distruggerci.
    Pensate ancora che i Semi-Dei fossero figli di un Dio e di un mortale? Vi sbagliate, sono solo macchine da combattimento create e comandate da quelli che voi veneravate o venerate.
    Gli Dei vogliono solo il nostro sterminio, perché hanno paura di quello che siamo capaci di fare; hanno paura che possano essere spodestati, proprio come loro hanno fatto prima con i loro genitori, i Titani.
    La verità è che a noi non frega niente del potere; cerchiamo di sopravvivere come meglio possiamo.
    Perciò la nostra non può essere considerata una vita: millenni che scappiamo con il terrore che ci pervade il corpo; scappiamo dai nostri stessi genitori; scappiamo e ci nascondiamo in posti fuori dal mondo per non farci trovare.
    Ma alla fine gli Spazzini arrivano sempre e sempre arriveranno se continueremo a soccombere ed a fuggire.
    Rimpiango ancora una volta di non essere stata forte come lo sono ora: le mie due sorelle uccise per mano di un Semi-Dio, Perseo. Voleva solo la mia testa, e l'ha avuta, ma sono riuscita a scampare alla morte grazie al sacrificio delle mie due sorelle, le Gorgoni.
    Sì, sono Medusa, ma non mi immaginate mostruosa e con i serpenti al posto dei capelli; no, anzi devo dire che sono molto bella, alla faccia di quella presuntuosa di Atena.
    Solo quando ne ho voglia posso risvegliare i miei poteri: due ali dorate mi spuntano sulla schiena, e al posto delle unghie si formano degli artigli affilati. Ma il mio aspetto rimane tale, niente serpenti al posto dei capelli: sono solo un'orribile falsità per gettare fango sulla mia persona.
    Il mio sguardo è così profondo da esser capace di immobilizzare una persona, ma niente statue di roccia o simili.
    I miei capelli rossicci scendono lungo la schiena e adesso si stanno muovendo a ritmo della musica della discoteca. Vengo a contatto con corpi sudati e un odore di chiuso e sudore aleggia nell'aria.
    Ma resto impassibile a ballare per non attirare l'attenzione del predatore che si aggira tra la folla di persone gettando uno sguardo attento attorno a lui.
    Ora lo posso vedere bene: è molto alto e i suoi capelli sono lunghi, castani e legati in un ciuffo che ricade sulla schiena; porta uno smoking nero e bianco e i suoi occhi sono dorati, tendenti al rosso.
    Tra i "mostri" si vocifera che il colore degli occhi degli Spazzini cambia ogni qualvolta uno di questi uccide: una tenue sfumatura di rosso si forma intorno all'iride dorata così da contraddistinguere i Semi-Dei principianti e quelli esperti.
    L'assassino che ho alle calcagna sembra avere anni di esperienza, anche se non l'ho mai visto in vita mia; ed io ho avuto una vita bella lunga.
    Continuo ad andare su e giù con il corpo che si muove sinuosamente come una semplice ragazza che si vuole divertire alla discoteca. Mi giro ancora verso di lui e incontro il suo sguardo; lui mi guarda con stupore e allo stesso tempo con un'incalcolabile freddezza; si sofferma sulle mie linee per poi risalire verso la faccia.
    Cerco di rimanere tranquilla, ma già so che ormai ha fiutato la preda.
    Fa qualche passo verso di me scontrandosi contro le persone intente a ballare che non si accorgono del nostro scambia di sguardo così intenso da incenerire una persona qualunque, e i nostri occhi si rincontrano; mi sfugge una scintilla di rabbia che attraversa gli occhi con un guizzo.
    Lui sembra notarla e ancora più convinto si avvicina a me. E' il momento di agire: devo allontanarmi e seminarlo senza però cogliere l'attenzione di tutta la discoteca.
    Mi guardo attorno con aria disinvolta per cercare una via di uscita mentre la musica continua a rimbombare sulle mie orecchie: tu-tump, tu-tump.. Finalmente il mio sguardo si sofferma su una scala che porta al tetto.
    Lentamente mi muovo in direzione della scala senza farmi troppo notare e solo dopo interminabili minuti riesco a raggiungere la scala: è in ferro e molto grossa; i corrimani sono arrugginiti e sporchi.
    Scavalco una coppia che sta pomiciando appassionatamente seduta sui primi gradini e arrivo alla porta che conduce all'esterno. Questa è molto grossa e sembra pesante, ma solo con la pressione di un dito riesco ad aprirla. La mia forza si fa sentire.
    Esco furtivamente fuori e mi guardo intorno: il tetto della discoteca è molto ampio, tutto ricoperto di cemento; fa talmente tanto freddo qui fuori che il mio respiro si congela formando come fossero nuvolette di fumo.
    Mi servirebbe proprio una sigaretta: prendo dalla tasca destra il pacchetto comprato qualche ora prima. Sulla scatola c'è stampata a caratteri cubitali la marca: Camel.
    Ne sfilo una e prendo l'accendino nella tasca sinistra, mentre mi sistemo la sigarette tra le labbra. Accendo con tutta la calma che ho al mondo la sigaretta e inspiro il fumo che lentamente va verso i polmoni. Chiudo gli occhi assaporando il bruciore alla gola che mi provoca il fumo: è così doloroso, ma così rilassante che assaporo ogni tirata.
    Butto fuori il fumo che lentamente scompare nella notte; sembra passata un'eternità quando finisco la sigaretta. La getto a terra e con il piede la spengo soddisfatta.
    Decido mi mettermi seduta sul muretto nell'attesa dell'uomo venuto ad uccidermi. E' strano che già non mi abbia trovato, ma continuo a fissare la porta finché questa non si apre e ne esce l'uomo che sorpreso di vedermi lì ad aspettarlo, mi sorride istericamente.
    «Sai» inizia lui tenendo lo sguardo fisso su di me «non credo di aver mai conosciuto uno di voi che attende la sua morte come lo fai tu... di solito sono impazienti e cercano di scappare in tutti i modi» dice tornando gelido. Un brivido mi percorre tutto il corpo, forse dovuto al freddo o forse dovuto al tipo.
    «Scoprirai che sono molto diversa dai miei "simili"» esclamo io con fare divertito «Per esempio: hai mai visto un mostro così bello?» chiedo al Semi-Dio alzandomi dal muretto e passando le mani tra le mie curve sinuose.
    Il tipo non sembra fare una piega; è stato addestrato bene penso io avvicinandomi.
    «Non mi pare di essermi mai imbattuto in un Semi-Dio con la tua faccia. Tu sei..?» chiedo io curiosa fermandomi a qualche metro di distanza.
    «Bé mi chiamano in molti modi, ma io preferisco Ercole» dice lui tranquillamente. Un altro brivido mi percorre la spina dorsale; ora so che è provocato dalla paura.
    «Ma Ercole, il vero?» chiedo io un po' sorpresa. «Sì, io. Scoprirai che sono molto diverso dai miei “simili”» borbotta lui scimmiottandomi.
    Faccio un passo indietro: so di non avere nessuno scampo con uno Spazzino di quelle capacità. Cerco di trasformare la paura in adrenalina.
    Qualcosa brucia dentro di me, come fosse un fuoco che si è appena riacceso dopo tempo. Sulla schiena si schiudono due bellissime ali dorate e le unghie si allungano formando degli spaventosi artigli.
    Spicco il volo verso il mio avversario che senza troppa fatica schiva la mia minacciosa artigliata compiendo un salto mortale all'indietro.
    Non mi do per vinta: spicco di nuovo il volo solo che questa volta verso l'alto. Non può arrivare fino a quassù; riesco, infatti, a vedere tutta la città che si stende sotto di me. Parto in picchiata mentre giro e punto verso lo Spazzino che ancora si guarda attorno cercando di capire dove mi trovo. Sono sicura di colpirlo, ma all'ultimo momento si accorge di me e tira fuori dalla cintura una pistola con proiettili dorati e comincia a sparare verso la mia direzione.
    Sono costretta a terminare la picchiata con una giravolta per poi ricadere leggera sul tetto della discoteca. Mi manca il fiato e penso di stare per vomitare: non ho mai incontrato uno della sua razza così forte.
    Appena rialzo lo sguardo per guardarmi intorno sento una fitta dolorosa: un pugnale dorato è conficcato all'altezza dello stomaco e il mio sangue dorato esce copiosamente dalla ferita.
    Rialzo lo sguardo e vedo il Semi-Dio che mi guarda soddisfatto.
    Il dolore lancinante allo stomaco persiste: mi stacco il coltello dalla pancia e lo rilancio in direzione del mio avversario che, sorprendentemente lo afferra al volo senza il minimo sforzo.
    Sento di stare per morire; in un attimo penso alla mia lunga vita e un sorriso mi viene spontaneo.
    Lo sguardo del tipo si fa ancora più glaciale e all'improvviso decide di prendere la rincorsa.
    Mi atterra tirando fuori una spada anch'essa dorata che mi punta al collo.
    «Hai finito di ridere, infida puttana?» nella sua voce c'è una stilla di odio. Alza la spada; «Non riderai ancora quando ti avrò staccato la testa» continua abbassando di colpo la spada.
    L'adrenalina si fa sentire di nuovo e non so come riesco a scansare il Semi-Dio e a lanciare lontano la spada.
    Però non è ancora disarmato: ha ancora la pistola, il pugnale e forse anche qualche altra arma.
    So di stare per morire, ma la promessa delle mie due sorelle mi torna alla mente. Non dovrai mai morire per mano dei Semi-Dei, prometticelo mi dissero prima di morire.
    Voglio rispettare la promessa, ma non so proprio come fare.
    Un'idea mi viene in mente; un'idea disperata, di una persona che ormai sta per morire.
    Indietreggio pian piano fino al bordo del tetto.
    Sento l'adrenalina che ancora si fa sentire nelle vene. «Cosa credi di fare? Lo sai che posso spararti se provi a prendere il volo» esclama glaciale lo Spazzino.
    «Sai, per tutta la vita sono stata costretta a scappare da quelli come te. Ogni volta che ne uccidevo uno, ne spuntava un altro» iniziò Medusa ignorando le parole dell'avversario.
    «Ho promesso alle mie due sorelle di non morire mai per mano di un Semi-Dio, ed è quello che farò».
    Di colpo mi lascio cadere indietro. Non voglio scappare, solo morire.
    Mentre cado sento l'aria gelata sulla pelle e vedo il Semi-Dio che incredulo si affaccia dal tetto.
    «Ci vediamo all'Inferno» riesco solo a pronunciare, poi un dolore acuto e infine il vuoto.
    Adesso so di essere libera dai continui inseguimenti; non vedo l'ora di riabbracciare le mie due sorelle.

    THE END


    EinRegentag presenta il racconto "Sacrifice":

    La musica pompa al ritmo del mio cuore. Sento i bassi pulsarmi nel petto, all’altezza dello sterno: tu-tump, tu-tump. Difficile vedere qualcosa nel locale pieno di corpi che si dimenano, tra la nebbia di ghiaccio secco e gli effetti di luce che sciabolano altissimi dal soffitto tecnologico.
    Però so che c’è. Lo sento.
    Infatti, sono grata alla massa di corpi schiacciati che mi avvolge. Mi nascondo dalla sua vista e ai suoi sensi. A quest’ora, altrimenti, avrebbe già percepito il mio odore. Riescono a cogliere l’essenza della paura a distanza di metri, loro.
    Si fanno chiamare Vangeryn e sono quegli angeli caduti che hanno deciso di completare il loro cammino verso la perdizione, facendosi trasformare in orribili succhia sangue.
    Ho cacciato e ucciso ogni genere di mostro che mi sia mai capitato a tiro, ma questa volta è diverso. Quando ne percepisco uno, il mio istinto mi dice di fuggire il più lontano possibile e, anche se so di doverlo fare, rimango esattamente dove sono.
    Decido di spostarmi verso il bancone, chiudo gli occhi e, mentre uomini e donne ballano senza sosta, mi concentro per capire dove si trovi esattamente Oscar. Lo trovo seduto su un divanetto nero come la pece a fumare una sigaretta, mentre la solita ragazzina con la fissa per Twilight cerca di convincerlo a trasformarla, ma invano. Oscar non trasforma nessuno. Oscar ti succhia il sangue fino all’ultima goccia che hai in corpo e poi, ti lascia a marcire in uno di quei vicoli sporchi e bui dove non passa mai anima viva. Oscar non è Tristan, il mio dolce Tristan.
    Eppure non reagisce come al solito, non la invita a uscire dal locale per potersi saziare del suo sangue. Rimane immobile senza muoversi di un millimetro e non dice una sola parola, comportamento molto strano per uno della sua specie.
    A un tratto sento l’odore di un suo simile, è appena entrato nel locale e il suo odore è molto diverso da quello di Oscar.
    Apro gli occhi. Il nuovo arrivato sa di potenza, sa di Ennis, Re Ennis.
    Non so perché sia qui, ma una cosa la so per certa, si sta dirigendo verso Oscar e questo non va per niente bene.
    Richiudo gli occhi e mi concentro su di loro.
    - Tristan, a quanto pare ci si rivede. - Dice con voce soave e cristallina mentre si siede al suo fianco con calcolata eleganza.
    - Ti ho già detto mille volte di chiamarmi con il mio nuovo nome. - Risponde l’altro irritato.
    “Tristan.” penso con tristezza, mentre nella mia testa cominciano a riaffiorare i ricordi.

    È una notte di dicembre dell’anno 2076 e sono nascosta dietro dei cespugli ben curati di un parco di cui non ricordo il nome. Sono in attesa che il vampiro cui sto dando la caccia si mostri a me, quando assisto a una scena che non avrei mai voluto vedere.
    Un uomo alto, dai capelli corvini e gli occhi argentei, che conosco meglio delle mie ali, sta camminando verso una panchina nascosta dai rami di un grande salice piangente. Quando ci arriva di fronte, la guarda, come se la stesse studiando, poi, ci si siede compostamente e rimanere in silenzio.
    Essendo nascosto dai rami del bellissimo albero, mi è difficile guardalo con la vista ‘umana’, così chiudo gli occhi e mi concentro su di lui, attivando la mia vista da Fairy. In quell’istante mi accorgo che un uomo non troppo basso, ma neanche troppo alto, e dai capelli color dell’oro, si sta avvicinando all’altro.
    - Vedo che finalmente ti sei deciso a venire, anche se, mi pareva di aver capito che tu non volessi assolutamente essere trasformato, perché credevi ancora in nostro padre e nei nostri fratelli. – Gli dice in modo calmo, mentre gli si siede accanto.
    - Ho cambiato idea. – Replica l’altro con un tono di voce piatto.
    - Il motivo?
    - Te l’ho già detto. Ho cambiato idea. - Ha gli occhi tristi.
    - D’accordo. - Il vampiro esita un momento, - Rispondi a questa mia semplice domanda. - dice alla fine.
    - Quale domanda?
    - Sei davvero sicuro di volerlo fare? - Chiede senza dare ascolto al corvino.
    - Sì. - Risponde quasi in un sussurro l’interpellato, mentre il mio mondo comincia a cadere a pezzi e i miei occhi si riempiono di lacrime.
    - Sei consapevole che dopo averlo fatto, i nostri fratelli non ti accetteranno più in Paradiso?
    - Sì. – L’essere dagli occhi argentei si gira di scatto verso l’altro e gli offre il suo collo.
    Senza pensarci due volte, il vampiro dai capelli dorati fa uscire le zanne e morde il collo dell’angelo.
    - Come ti senti Tristan? - Chiede il vampiro all’angelo quando la trasformazione si è conclusa.
    - Mio caro Ennis, ormai Tristan non c’è più. D’ora in poi chiamami Oscar.

    Il ricordo finisce e mentre la mia mente torna sui due e la loro conversazione mi sposto verso il bancone. Stanno parlando di cose futili e pressoché noiose.
    I minuti passano velocemente ed io non posso credere che due come loro si siano incontrati solo per parlare del tempo che ci sarà domani.
    Passati più di venti minuti, decido di andarmene, ma la presenza di qualcosa, o meglio, di qualcuno, mi fa cambiare idea.
    Nel locale è appena entrato un uomo appartenente alla mia specie, le fate. Lo so, può sembrare assurdo sentire che un uomo sia una fata, ma ce ne sono molti più di quanto si possa pensare.
    Non so cosa sia venuto a fare, gli avevo espressamente detto che ci avrei pensato io.
    In pochi minuti me lo ritrovo affianco: - Ciao, sorellina. - Mi sussurra all’orecchio.
    - Cosa ci fai qui Tom? - Mi sorprendo del fatto che la mia voce riesca a essere molto più fredda del solito, quando parlo a bassa voce.
    - Secondo te? - Mi risponde con quel suo sorrisino beffardo. - Dobbiamo finire questa storia e tu anche se dici di esserne in grado, non lo sei.
    - Questo lo dici tu. - Quando fa così, mi fa innervosire all’inverosimile.
    - Devi capire che Tristan non c’è più, che ora c’è Os…
    - Lo so benissimo razza di screanzato! - Lo interrompo di scatto.
    - Screanzato?! Ma come ti per…
    - Mi permetto eccome! Ho dieci anni più di te, sei ancora un ragazzino e se ti dico che posso farcela e che devi stare a casa mi devi dare ascolto! - Ora sono davvero infuriata.
    Vedo che sta per aprire bocca per ribattere, quando la musica s’interrompe e le persone intorno a noi si bloccano, passano pochi secondi e vediamo che iniziano a spostarsi verso le estremità della pista per poi iniziare a dissolversi. Com’è possibile che non mi sia accorta di questo incantesimo?
    All’improvviso ci ritroviamo davanti Ennis e Oscar nei loro bei completi neri e questo fa sparire la rabbia cocente che mi aveva preso poco prima.
    - Per caso state andando a un funerale? - Ma perché quell’idiota del mio fratellino deve sempre aprire bocca quando non deve. Non ha mai combattuto con Vangeryn e non sa che è molto difficile ucciderne uno.
    - Sì, al tuo. - La risposta semplice e secca che esce dalla bocca del Re. - Ma di questo ce ne occuperemo dopo. - Prosegue spostando il suo sguardo su di me. - Jacqueline, dacci quello che stiamo cercando.
    - E ditemi, cosa state cercando, di grazia? - Rispondo sapendo bene di cosa sta parlando.
    - Non ci provare con me, carina. Lo sai benissimo.
    - A che vi serve?
    - Sai bene anche questo, dobbiamo distruggerla.
    - E perché mai? Ormai siete vampiri, non dovrebbe importarvi se le vostre Grazie vengono distrutte, disperse o custodite.
    - Invece, ci importa eccome, è l’unica cosa che può riportarci su dai nostri fratelli e noi, di loro, non vogliamo più saperne. Ora, dammi la sua Grazia.
    La mia mente ritorna nuovamente a quella sera invernale del 2076.

    - Mio caro Ennis, ormai Tristan non c’è più. D’ora in poi chiamami Oscar.
    Il Re sorride soddisfatto. Pochi attimi dopo, dai buchi che ha lasciato aperti sul collo dell’angelo, esce una pallina di luce bianca e luminosa, quasi accecante. Vola in alto nel cielo per poi sparire.
    - Ora sei ufficialmente un Vangeryn. - Re Ennis ora è molto più che soddisfatto, sa di aver appena convertito alla sua specie uno dei migliori soldati del paradiso.
    Le lacrime non riescono a smettere di sgorgare dai miei occhi e il cuore mi fa maledettamente male, così decido di ritornare a casa, ma mi ritrovo di fronte ad una piccola luce. Si avvicina sempre più verso di me, fino a quando non mi entra nel petto e si sistema nel mio cuore dolorante.

    Ritorno alla realtà in pochi secondi: - Di cosa hai paura? - Guardo il Re con una punta di curiosità nello sguardo.
    - Di nulla! Rivogliamo semplicemente la sua Grazia. - Risponde irritato, indicando Oscar.
    - Lo sappiamo entrambi che è molto preziosa. - Rispondo in modo sfrontato e mi sento un pizzico più forte, perché non ho più paura che si infuri, ho ciò che cerca e questo mi da la possibilità di approfittarne per ucciderlo.
    - Zitta e dammi ciò che mi appartiene! - Il volto gli si sta lentamente colorando di rosso.
    - Che ti appartiene?! È la Grazia di Tristan, non la tua! - La rabbia comincia a risalirmi.
    - Dovresti ascoltare di più il tuo fratellino quando dice che Tristan non c’è più, quello che vedi qui è Oscar. - Un sorrisino strafottente si fa strada sul suo viso.
    - Come hai fatto a sentirci? E da quand’è che si ascoltano le conversazioni altrui? - Sono sorpresa che sia riuscito a sentirci, i Vangeryn non hanno questa capacità.
    - Sono il primo Vangeryn di tutta la storia, posso fare cose che i miei compagni non sanno fare e poi, non sei stata tu a iniziare a spiare la nostra conversazione?
    Sono sconvolta, nessuno era mai riuscito a sentire la mia presenza mentre ascoltavo le conversazioni delle altre persone.
    - Cos’è? Hai perso la capacità di parlare tutta d’un tratto? - Si sta divertendo.
    Continuo a non rispondere, sposto semplicemente il mio sguardo verso quel Vangeryn di nome Oscar, che nel profondo del mio cuore rimarrà sempre Tristan. A quel punto, per la prima volta da quando è cominciata la mia discussione con il Re, Oscar alza lo sguardo verso di me e incatena i suoi occhi ai miei, proprio come faceva un tempo e mi parla solo con essi facendomi capire che ha un piano in mente.
    Mentre tengo gli occhi fissi nei suoi, trovo il coraggio di rispondere a Ennis: - Se vuoi con tutto te stesso la sua Grazia, allora, vieni a prenderla.
    A quel punto il mio fratellino, che fino a quel momento era rimasto a guardarci con sguardo stupito, mi sussurra all’orecchio: - Ma cosa stai dicendo? E cos’è questa Grazia di cui state parlando?
    - Zitto e preparati a combattere. - Gli sussurro di rimando.
    E questa volta mi da retta, mette una mano dietro la schiena e, come me, fa comparire il suo coltello magico.
    - Oh, qualcuno ha voglia di farsi male. - Dice divertito il Re mentre si avvicina a Tom con lo sguardo fisso nel suo.
    Passano pochi secondi e Oscar è già su Ennis: - Ora! - grida mentre tenta di tenerlo fermo il più possibile.
    Mi scaglio velocemente su di loro, ma prima di riuscire anche solo a fargli un graffio, mi paralizzo sentendomi soffocare. Cado a terra tenendomi la gola e cercando di respirare, ma non ci riesco.
    Sento Oscar urlare qualcosa a mio fratello: - Uccidilo Tom! Uccidilo o tua sorella morirà!
    Tom si muove in fretta, arriva davanti ad Ennis, che si è concentrato completamente su di me, ed evitando i calci inutili che il Re cerca di dargli, gli taglia la testa.
    Vedo cadere entrambi i Vangeryn al suolo, Ennis con la testa mozzata e Oscar, che non riesce a reggersi in piedi da un dolore lancinante che l’ha preso al cuore, mentre io riesco finalmente a respirare di nuovo.
    Mi riprendo il più in fretta possibile e in men che non si dica mi fiondo su colui che una volta era il mio amato: - Oscar, che succede? Che hai? - Ho le lacrime agli occhi.
    - Oscar è il mio nome da Vangeryn ma, ormai, non lo sono più. - Parla con un tono di voce basso e sofferente.
    - Ma che dici? Come fai a non esserlo più? - Rispondo tra le lacrime.
    - Mi sono sacrificato amore mio. Non lo capisci? È per questo che mi sono fatto trasformare, dovevo ucciderlo e allo stesso tempo dovevo proteggerti.
    - Ma, Oscar, io ho la tua Grazia, posso salvarti se te la restituisco.
    - Non farlo, amore mio, ti prego. Quello è un dono per te da parte mia, per proteggerti da ogni cosa per l’eternità. E ricorda che per te sarò solo e sempre Tristan, quell’angelo custode che si è preso cura di te e ti ha amato più della sua stessa vita per più di vent’anni.
    - Ti amo Tristan.
    - Lo so, piccola. Anch’io. E se i miei fratelli mi verranno a salvare dall’inferno per potermi riportare lassù, allora un giorno ci rivedremo.
    - Tristan...
    Calde lacrime continuano a sgorgare dai miei occhi e intanto ripenso a quello che mi ha detto.
    Mi ha salvata e ci ha aiutati a uccidere il Re e tutti i Vangeryn, ma questo pensiero non mi conforta affatto perché, per farlo ha dovuto sacrificare se stesso.
    Rimango lì, accasciata sul pavimento, mentre stringo tra le mie braccia Tristan. Il mio dolce angelo Tristan.



    Hiddles presenta il racconto:





    Concludo ringraziando tutti i partecipanti e i votanti. Ma prima, un ultimo avviso: chiedo gentilmente, per le prossime volte, di postare i racconti normalmente (copia e incolla), perché ho vuto molta difficoltà con i programmi che mi avete inviato, e potrebbero anche averle i prossimi giudici della seconda edizione. Per difficoltà intendo che ci ho lavorato sopra un pomeriggio intero, quindi spero per i prossimi giudici che siano più esperti di me.

    Edited by «JSTJart» - 17/9/2013, 15:36
     
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    Il mio voto va a Non Capiscono di Fantasy Dreamer, per quanto abbia apprezzato gli altri racconti sul genere urban fantasy, io vado matto per i thriller.

    - Originalità (15/15)
    - Stile (13/15)
    - Coerenza con il tema indicato (11/15)
    - Presenza/assenza di errori (14/15)
    - Giudizio personale (14/15)

    altri voti:

    La discesa agli inferi di Paul97

    - Originalità (13/15)
    - Stile (12/15)
    - Coerenza con il tema indicato (11/15)
    - Presenza/assenza di errori (12/15)
    - Giudizio personale (10/15)


    Sacrifice di EinRegentag

    - Originalità (14/15)
    - Stile (13/15)
    - Coerenza con il tema indicato (10/15)
    - Presenza/assenza di errori (11/15)
    - Giudizio personale (13/15)

    Tenebre di Hiddles


    - Originalità (12/15)
    - Stile (10/15)
    - Coerenza con il tema indicato (11/15)
    - Presenza/assenza di errori (12/15)
    - Giudizio personale (13/15)

    Edited by The Aster - 17/9/2013, 22:34
     
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  3. FantasyDreamer
     
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    Grazie mille *__* Ma... forse non avresti dovuto aspettare il racconto di Hiddles? Metti che, una volta letto, ti piacerà più del mio??
     
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    pensavo che, visto che la data per l'invio era passata, i racconto erano solo quelli postati da JS
     
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    Innanzitutto, i voti sui cinque aspetti vanno dati a tutti gli utenti, poi dovresti aspettare che hiddles mi dia il racconto. Ma dato che ho aspettato troppo, vi metto il link che mi ha dato, si fa prima.

    Modificato il post

    Il tuo voto per ora non è valido, devi riconfermarlo secondo tutte le regole, se rimani dello stesso parere. :)
     
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  6. EinRegentag
     
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    Alloraaaa... il mio voto va a Albe (FantasyDreamer). Credo che sia stato l'unico ad aver fatto qualcosa di veramente originale, io non sarei mai riuscita a scrivere qualcosa del genere con questo tipo di incipit (e si vede benissimo dalla mia storia), quindi, si, il mio voto va a lui :D
    - Originalità (15/15)
    - Stile (14/15)
    - Coerenza con il tema indicato (13/15)
    - Presenza/assenza di errori (14/15)
    - Giudizio personale (14/15)

    Ypolius - The Aster

    - Originalità (11/15)
    - Stile (13/15)
    - Coerenza con il tema indicato (7/15)
    - Presenza/assenza di errori (14/15)
    - Giudizio personale (12/15)

    La Discesa agli Inferi - Paul97

    - Originalità (14/15)
    - Stile (11/15)
    - Coerenza con il tema indicato (12/15)
    - Presenza/assenza di errori (13/15)
    - Giudizio personale (13/15)

    Tenebre - Hiddles

    - Originalità (10/15)
    - Stile (13/15)
    - Coerenza con il tema indicato (14/15)
    - Presenza/assenza di errori (14/15)
    - Giudizio personale (11/15)
     
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  7. FantasyDreamer
     
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    Ti ringrazio tantissimo, Ein! Sono così felice che il mio racconto vi sia piaciuto!! *__*
    Ora esprimo il mio voto... rullo di tamburi... Ho scelto di votare "La discesa agli inferi", di Paul_1997!! Solitamente non mi piace l'urban fantasy, soprattutto perché, a mio parere, i prodotti di questo genere sono praticamente tutti identici. Perciò ho apprezzato moltissimo questo "cambio di prospettiva" che Paolo ha utilizzato: narrare la vicenda dal punto di vista di una creatura mitologica perseguitata dai semidei (protagonisti di tonnellate di romanzi) è un espediente decisamente originale, capace di trasmettere emozioni e interessare il lettore.

    - Originalità (15/15)
    - Stile (14/15)
    - Coerenza con il tema indicato (14/15)
    - Presenza/assenza di errori (13/15)
    - Giudizio personale (14/15)

    Ecco i giudizi sugli altri racconti:

    Ypolius - The Aster
    - Originalità (14/15)
    - Stile (12/15)
    - Coerenza con il tema indicato (12/15)
    - Presenza/assenza di errori (13/15)
    - Giudizio personale (13/15)

    Sacrifice - EinRegentag
    - Originalità (12/15)
    - Stile (13/15)
    - Coerenza con il tema indicato (14/15)
    - Presenza/assenza di errori (13/15)
    - Giudizio personale (13/15)

    Tenebre - Hiddles
    - Originalità (11/15)
    - Stile (12/15)
    - Coerenza con il tema indicato (14/15)
    - Presenza/assenza di errori (12/15)
    - Giudizio personale (12/15)
     
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    Aggiunto un giorno in più per le votazioni. The aster, Ein regentag, Hiddles e i giudici devono commentare.
     
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    io ho commentato
     
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  10. EinRegentag
     
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    Anche io ho già commentato
     
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    Perdonami ein, ma hai cambiato avatar. :D

    Scusa anche tu aster, ho visto che avevi modificato il post. :)
     
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    e di che ti scusi? :D
     
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  13. EinRegentag
     
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    Tranquillo JS, non c'è bisogno di scusarsi :D
     
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    Bene, allora ritiro le scuse e vi mando al diavolo? :D


    Ehm... ehmm... *tossisce*


    Ecco i miei giudizi:

    Ricordo prima ai partecipanti che, in qualità di giudice, la scala dei miei valori (come quella di beatrix e shiro), andranno da 1 a 5, i vostri dovranno essere compresi tra l'1 e il 15.

    Per Ypolius:

    - Originalità (2/5)
    - Stile (3/5)
    - Coerenza con il tema indicato (2/5)
    - Presenza/assenza di errori (2/5)
    - Giudizio personale (2.50/5)


    Per La discesa agli inferi:

    - Originalità (2/5)
    - Stile (3/5)
    - Coerenza con il tema indicato (4/5)
    - Presenza/assenza di errori (1.50/5)
    - Giudizio personale (2.50/5)


    Per Sacrifice:


    - Originalità (2/5)
    - Stile (2/5)
    - Coerenza con il tema indicato (1/5)
    - Presenza/assenza di errori (2/5)
    - Giudizio personale (2/5)

    Per Tenebre:

    - Originalità (2/5)
    - Stile (2/5)
    - Coerenza con il tema indicato (4/5)
    - Presenza/assenza di errori (4/5)
    - Giudizio personale (2/5)


    Per Non capiscono:


    - Originalità (5/5)
    - Stile (2/5)
    - Coerenza con il tema indicato (5/5)
    - Presenza/assenza di errori (2/5)
    - Giudizio personale (3.50/5)


    Il mio voto va a fantasy dreamer. :P
     
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  15. FantasyDreamer
     
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    Wow, grazie *__* non avrei immaginato che vi sarebbe piaciuto, dato che a me è sembrato noioso!
     
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28 replies since 14/9/2013, 20:53   309 views
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